top of page

Raccolta di poesie a tema vario 'Pizzini da un cuore affranto. L'addio'

  • Immagine del redattore: Giuseppe Amato
    Giuseppe Amato
  • 24 gen
  • Tempo di lettura: 11 min



 

La raccolta di poesie è introdotta da un dialogo.

Uno dei personaggi di questo dialogo sia chiama Agata.

Agata in questo contesto assume molteplici significati.

Agata è un’amica del passato e simboleggia qui tutti gli amici e l’amicizia stessa.

Agata è una donna e rappresenta qui tutte le figure femminili della mia vita, vero e proprio ponte tra me e la società.

Agata è quindi per me la società.

Infine Agata è la Patrona di Catania e aldilà delle parole usate e delle scene rappresentate, parlare con Agata voleva dire per me parlare all’anima stessa della città, al suo cuore.

Nelle poesie sono rappresentati episodi e persone della mia vita reale o anche solo del mio immaginario rielaborati da un punto di vista emozionale e formale.

Quasi tutte fanno trasparire delle disillusioni, delle assenze importanti e dei dolori che hanno caratterizzato il mio percorso di vita.

Leggendo le poesie le persone più sensibili potrebbero trattenere un senso di melanconia, fatto non evitabile essendo essa stessa il motore classico di tali composizioni.

Anche se nella raccolta viene utilizzato volutamente un linguaggio semplice, diretto, che non segue una metrica studiata, i componimenti spesso non sono di immediata interpretazione.

Per cui, per un maggiore livello di comprensione del testo, necessitano di un breve commento.

Le poesie così realizzate, sembrano quasi dei messaggi in codice, affidati volutamente ad un oceano potenzialmente infinito, dalle correnti sconosciute, rappresentato dai lettori.

La chiave interpretativa attraverso cui leggerle, le esperienze e le emozioni del lettore.

Scorrere le righe del tempo della propria emotività per cercare gli indizi mal celati nascosti tra le loro pieghe, porterà al cuore affranto che le ha generate, che con sorpresa alcuni lettori scopriranno essere il proprio.

Ed è proprio questa ricerca il valore che vi lascio oggi.

Vi auguro un piacevole ascolto ed una piacevole lettura.


GIUSEPPE AMATO

Giuseppe inizia la sua avventura in questo mondo come un bambino timido, sensibile e molto contemplativo.

Osserva la realtà che lo circonda in silenzio, come uno spettatore che non vuole essere visto.

Cresce tra e matura le sue esperienze di bambino prima e adolescente poi, tra le province di Catania e Messina.

Fin da giovane matura l’interesse per l’alimentazione e la cultura fisica che approfondisce e completa divenendo dietista e successivamente fisioterapista.

Rimane ad oggi incompiuto un terzo percorso di studi sul comportamento umano che a suo dire completerebbe la conoscenza dell’essere umano nella sua completezza: cibo, corpo, mente.

Purtroppo la sua vita è stata costellata da un malessere psicologico costante e solo a tratti meno presente che ne ha condizionato pesantemente la realizzazione professionale e di percorso di vita.

In questo contesto si inserisce la presente raccolta di poesie che vuole essere una sorta di elaborazione e un addio ad una parte di sé: la parte più innocente e vera.

Questo passaggio, non voluto, che ha trovato la forma di poesie, rielabora personaggi incontrati, emozioni provate, desiderate e conclusioni che mettono le premesse per quello che il futuro vorrà riservare lui.

Attualmente vive da solo in un paese alle pendici dell’Etna e saltuariamente si concede di farsi coccolare dal rumore del mare e dai profumi della salsedine e dei fiori dei giardini delle colline messinesi.

Attualmente non ha ancora trovato l’anima gemella ed è sempre più convinto che non la troverà mai in quanto è arrivato a pensare che ella sia la somma dei profumi, dei sorrisi e degli sguardi delle donne che incontrerà durante il suo cammino.

Attualmente coccolato dalla sua fedele Daisy, Labrador color miele dal carattere dolce ma anche un po' mordace.


ALCUNE PAROLE SU “LILLO”.


Nell’introduzione alle poesie è presente un personaggio: “Lillo”.

Proseguendo nella lettura si ha l’impressione che Lillo sia un cane.

Si parla di un possibile abbattimento, per evitargli inevitabili ulteriori sofferenze.

Si viene a conoscenza della sua morte.

Una morte dimenticata, passata inosservata ai più.

Tranne che al personaggio che dialoga con Agata di cui non si conosce il nome, che ha ancora ben presente il suo sguardo, seppur in sogno.

Il personaggio di cui non si conosce il nome ad un certo punto, accenna, sicuro di non essere capito ad un’esperienza premorte.

Un buio che dalla periferia arriva fino al centro del campo visivo: “il buio da fuori a dentro”.

Il buio di cui tutti hanno paura e che porta con sé il più grande interrogativo della vita.

C’è qualcosa dopo, e cosa? O è semplicemente la fine?

Durante questa esperienza il personaggio comunica di aver provato prima un distacco dalle cose terrene e successivamente un assaggio di una pace mai provata prima.

Affida ad Agata questi ricordi.

Il loro peso evidentemente lo schiaccia e cerca qualcuno con cui condividerlo.

Lo trova in Agata, che sembra disinteressata alle sue vicissitudini e alla sua sorte.

Ecco, Lillo e il personaggio sconosciuto sono un'unica persona.

Lillo è la sua parte bambina, genuina, sempre allegra, spensierata e interessata alle cose e alla vita.

L’altra parte di sé è quello che le vicissitudini della vita occorsegli hanno lasciato.

Questa morte quindi, non vista, passata inosservata, è una morte bianca.

Non c’è un cadavere, né una tomba esteriore, ma solo delle macerie interiori che fanno male.

Un male tanto insopportabile da poter essere condiviso solo con qualcuno non più del suo mondo: Agata.

Agata in questo dialogo assurge via via il valore crescente prima dell’amica, poi delle amicizie, poi delle compagne del personaggio e della società stessa, fino ad incarnare la Santa e quindi la religione e il rapporto con Dio nella speranza che questo condividere possa lenire il suo dolore.

Il dialogo continua fino alla consapevolezza che niente e nessuno potrà mai alleviare del tutto il suo peso o cancellarne completamente il ricordo.



 

IL TERMINE “PIZZINO”

 

Nel titolo della raccolta di poesie viene usato il termine “pizzino”. Questa scelta è stata ben valutata ed è dipesa da molteplici fattori.

 Innanzitutto il modo in cui questa raccolta è nata: frasi estemporanee appuntate su pezzetti di carta, a volte anche su materiali di fortuna come scatole di biscotti ecc.

Idee, emozioni, che venivano fuori, quasi come da un vaso ormai stracolmo, trovavano la forma di scritte su piccoli pezzetti di carta.

Frasi, semplici, dirette, quasi come messaggi.

Emozioni che stavano dentro me, nel profondo del mio cuore e che volevano essere viste, lette e ben ponderate da tutto il mio essere.

Anche dopo aver subito un’opera di rielaborazione per darne una rappresentazione leggibile anche ad altri, le poesie così nate, vengono da me considerate “i pizzini delle poesie”.

Con questa terminologia intendo delle poesie scritte da un “non professionista della poesia”.

Poesie quindi, che non hanno l’ambizione di paragonarsi alle poesie dei grandi poeti.

Un altro fattore che mi ha portato a scegliere il vocabolo “pizzini” è l’ambizione di voler, tramite il linguaggio della poesia, fare delle mie emozioni dei messaggi che possano trasmettere il loro contenuto emozionale ed esperienziale anche ad altre persone, sconosciute, rappresentate dai lettori.

Questo passaggio viene rappresentato nella copertina dalla bottiglia di vetro, che naviga in un oceano sconosciuto fino ad approdare ad un immaginario lettore.

La scelta “pizzini” è motivata anche dal fatto che per comprendere appieno il contenuto delle poesie è necessario un “codice” condiviso tra lo scrittore e il lettore.

 Questo codice è costituito da un vissuto comune di esperienze: relazioni amorose, amicizie, emozioni, disillusioni…, “vita”.

Il termine “pizzino” richiama anche un importante argomento di attualità come per altro anche alcune delle poesie facenti parte della raccolta.

Ecco quindi che questi componimenti possono rappresentare uno spunto di riflessione e di approfondimento di tematiche come la mafia, il femminicidio, l’educazione affettiva, il suicidio, ecc...

pizzini” anche per sottolinearne la genuità del contenuto emozionale esposto: senza artifizi, senza fronzoli o sovrastrutture, come fosse scritto da un bambino.

Questo fatto è sottolineato dalla veste grafica della copertina: il disegno è stato realizzato da una bambina.

Ed anche nella quarta di copertina vi è un a foto di me bambino.

Il termine “pizzini” vuole anche essere un po' una svalutazione delle opere contenute.

Questo per un mio vissuto personale di timidezza: dar loro un valore minore mi ripara da un’esposizione che altrimenti entrerebbe in conflitto con il mio bisogno di non essere oggetto di estreme attenzioni, che un’eccessiva pomposità e aspettativa potrebbe portare con sé.

Quindi queste poesie possono essere lette su più livelli.

Esse rappresentano una forma di catarsi e di necessario bisogno di comunicare del sottoscritto.

Possiedono, a mio dire, una struttura e una scelta lessicale gradevole, che ne rende piacevole la lettura.

Possono essere un utile occasione di approfondimento e confronto emotivo del lettore.

Tutte le poesie possiedono una storia dietro, mostrata nel testo solo per una (sotto forma di commento) che porta il lettore a riflettere su alcune tematiche scelte dal mio animo nel momento della realizzazione dei versi che le compongono.

Tali tematiche possono essere oggetto di approfondimento e confronto: quindi le poesie come porte su mondi inaspettati e coinvolgenti per una mente sempre pronta a rimettersi in gioco e a lavorare per il bene personale e comune.


POESIE CHE INTRODUCONO TEMI DI INTERESSE SOCIALE


POESIA 'ANGELI DIMENTICATI'

Questa poesia, contenuta nella raccolta, trae spunto da un fatto di cronaca.

 Il suicidio di un agente della polizia penitenziaria.

A partire da questo evento lontano e dalle motivazioni sconosciute è nata la poesia Angeli dimenticati.

Questa poesia parla di un tempo che passa.

Che passa veloce.

Si conclude infatti non con una morte naturale in vecchiaia ma con un suicidio.

Parla di speranze, parla di progetti, parla di dovere.

Parla dei veri valori della vita.

Parla di qualcosa che va oltre le normali necessità della carne.

Parla della volontà di cercare un qualcosa in più che diventa però in questo componimento un ideale, un qualcosa non di questo mondo e quindi non raggiungibile per definizione.

Il personaggio alla fine si scontra con le difficoltà che la sua scelta di vita comporta: le rinunce, le disillusioni e soprattutto la solitudine alla fine hanno il sopravvento.

Solitudine che sin da subito si affaccia alla mente del lettore ‘…lei lasciata, …, vorrei non fosse”.

Dove si lascia all’immaginazione una donna, una famiglia, che al mattino vengono lasciate per abbracciare più una missione che non un semplice lavoro e che quindi richiedono il massimo impegno inquanto a risorse impiegate: tempo, dedizione, ..., ecc.

Queste rinunce, le aspettative così grandi, alla fine, giorno dopo giorno, ‘Un'altra giornata…’ nel testo, portano questo nostro personaggio alla resa.

Ecco, da questo percorso, di pura immaginazione ma che pur conserva diversi aspetti di realtà, l’importanza del sostegno.

Sostegno a vari livelli: famiglia, amicizia, religione, ma anche sostegno professionale.

Cioè l’importanza di una rete di supporto che non lasci da soli quegli operatori che svolgendo il loro lavoro svolgono anche dei delicati compiti sociali.

Questa rete è sia materiale (fatta di strutture, organismi, risorse, leggi..., ecc.), sia relazionale e cioè fatta di rapporti umani ma anche e soprattutto di supporto psicologico.

Il fenomeno distruttivo cui può andare incontro un operatore carcerario ma anche un medico, un infermiere, …, ecc., nello svolgimento delle sue mansioni è ben noto è va sotto il nome di burnout.

Questa sindrome comprende diverse problematiche di natura psicologica cui può andare incontro un lavoratore sottoposto ad un carico di stress che non riesce a gestire.

Questo può avvenire per il sovraffollamento delle carceri, per il ridotto numero di personale, per la carenza di strumenti adatti al reinserimento sociale del detenuto (nel caso specifico), per la mancanza o l’inadeguatezza normativa del settore, …, ecc.

Tutti questi fattori, più quelli personali, possono quindi portare la persona ad accusare tutto un insieme di sintomi, variamente mescolati tra loro tra cui:

      I.          Senso di fallimento o di scarsa autostima.

    II.          Sentirsi senza speranza, intrappolato o sconfitto.

 III.          Sensazioni di distacco dal proprio lavoro.

 IV.          Perdita della motivazione.

   V.          Ridotta soddisfazione e senso di realizzazione.

 VI.          Stato di costante tensione e irritabilità

VII.          Cinismo.

VIII.          Ecc.

Da qui l’importanza di un supporto specialistico per gli operatori del settore che li guidi tra le insidie della loro mente e del mondo che sono chiamati ad ‘affrontare’.

Cosa che va di pari passo con la corretta gestione, compatibilmente con la pena, della vita carceraria: prospettive di reinserimento sociale, adeguatezza delle strutture, ecc.

Questo nell’ottica di un cammino congiunto di due aspetti dell’uomo che spesso vengono ghettizzati in una dualità a volte di comodo: l’operatore di polizia penitenziaria da una parte (il bene) e il detenuto dall’altra (il male).


POESIA 'MI PASSI L'OLIO?'

In questo componimento, viene rappresentata una famiglia.

C’è un uomo che cucina, la sua compagna e la loro piccola.

In questo apparente quadretto di normalità famigliare c’è un

non detto dal sapore amaro. Intanto è lui ad occuparsi della

preparazione del cibo. Mentre tradizionalmente, soprattutto

nel passato e principalmente nel meridione d’Italia, è solitamente

la donna a farlo. Anche del pezzetto di formaggio

si occupa lui: della sua scelta, della sua conservazione in una

piccola cantinetta famigliare. Lui è anche un po’ tracagnotto.

Insomma, in questa famiglia rappresentata, tutto quello

che riguarda il cibo passa per lui. Ho immaginato che il

cibo rappresentasse per il protagonista il rapporto con la madre che non

compare direttamente nella scena rappresentata. Pensandoci

bene il primo cibo che si riceve appena nati è proprio il

latte materno. Ed è proprio questa ricerca e questa cura del

cibo che riflette il rapporto del personaggio con la madre. Un

rapporto che forse in vita non ha dato all’uomo quello di cui

aveva bisogno e che continua a cercare inconsapevolmente

nel cibo. La compagna si accorge di questa insoddisfazione e

del modo in cui cerca di colmarla e cerca di sopperire al vuoto

che non riesce a colmare dandogli lei del cibo. Cibo che

subito viene dato dall’uomo per colmare i bisogni della figlia.

Questo cibo, centrale nel componimento alla fine, non riempie

e sazia nessuno dei presenti. L’uomo non riuscirà ad avere

dal cibo quello che cerca, cioè l’amore che avrebbe voluto

e che per qualche motivo non ha ottenuto e a sua volta darà

alla figlia il suo amore nel modo che conosce e cioè attraverso

il cibo. E questo non soddisferà appieno neanche la figlia,

la cui richiesta era sostanzialmente di amore. E neanche la

donna rappresentata non avrà quello che realmente vuole,

cioè essere lei il cibo di quell’uomo. Ecco che una banale

scenetta famigliare nasconde un piccolo dramma che verrà

trasmesso, inconsapevolmente, di generazione in generazione.

Un’insoddisfazione strisciante, non capita dai personaggi,

che “avvelena” in modo inconsapevolmente le loro esistenze.

Ecco che qui il nutrimento nasconde dietro delle emozioni,

dei significati che ci scambiamo senza rendercene conto, in

modo leggero, come quando ci si passa l’olio a tavola.

 

 

Riflessione:

All’interno della raccolta ‘Pizzini da un cuore affranto. L’addio’ si cita spesso di cibo.

Questo per un mio interesse personale e professionale.

Il cibo rappresentato, così come nella realtà, non è mai solo nutrimento ma racchiude a sé diversi significati.

Il cibo nell’esperienza comune rappresenta soprattutto il soddisfacimento di un piacere ma anche un momento di convivialità.

Ci si siede a tavola principalmente per il piacere di stare insieme e condividere e per il piacere del gusto mentre il valore nutrizionale assume un ruolo secondario, complice anche una carenza di educazione in materia.

Nel componimento ‘Mi passi l’olio?’ il cibo è piuttosto un qualcosa che ci si scambia.

Rappresenta il prendersi cura, il soddisfacimento di un’aspettativa, un modo di amare, …

Al cibo si da il compito di risolvere dei conflitti interiori, in maniera facile, senza affrontare la problematica sottostante che soddisfano: una fame che spesso viene dall’anima.

Questa fame o il suo opposto uscendo fuori dal nostro controllo possono diventare dei veri e propri disturbi del comportamento alimentare (DCA).

In questi casi ci troviamo davanti delle vere e proprie patologie complesse, invalidanti e potenzialmente mortali, che coinvolgono fattori biologici e psicologici.

Tra i fattori psicologici annoveriamo bassa autostima, ansia, depressione, insicurezza, …, ecc.

Anche fattori socioculturali influenzano il nostro comportamento alimentare.

Uno di questi è la proposizione da parte della società (media, mondo della moda, ecc.) di un concetto di ideale di bellezza caratterizzato da un’eccessiva magrezza che si discosta da quello che è il ‘giusto peso’ per il conseguimento di un buono stato di salute psicofisica.

I disturbi del comportamento alimentare possono prendere diverse forme:

      I.          anoressia nervosa

    II.          bulimia nervosa

 III.          disturbo da alimentazione incontrollata (BED)

Sebbene differenti tra loro, tutte hanno in comune il fatto di esprimere un profondo disagio e malessere psicologico, per cui spesso è consigliato un trattamento psicoterapico.

Nell’anoressia nervosa è pervasiva l’insoddisfazione per la propria immagine corporea e c’è una marcata presenza di emozioni negative (es. colpa, vergogna, sensazioni di inutilità e scarso valore personale) e una difficoltà nella regolazione delle emozioni.

Anche nella bulimia nervosa è fortemente presente un’insoddisfazione per la propria immagine unita alla ricerca di controllo sulle forme corporee.

Le cause e i fattori di rischio principali per lo sviluppo del binge eating disorder invece sono:

  • eventi traumatici nella vita

  • insoddisfazione verso il proprio corpo

  • bassa autostima

  • difficoltà nella gestione delle emozioni

I disturbi del comportamento alimentare possono avere la loro origine nell’infanzia per cui il ruolo dei genitori in questa fase è di notevole importanza.

Il compito dei genitori in questi casi è quello di favorire nei figli lo sviluppo di un adeguato livello di autostima.

Questo può essere fatto nella pratica aiutandoli a tollerare le frustrazioni della vita dando il giusto valore all’aspetto fisico o alla prestazione fornita (es. nello studio, nello sport, …, ecc.).

Fare in modo che i ragazzi durante la loro crescita imparino a non basare il loro valore o la loro amabilità sulle prestazioni raggiunte.

In questo modo viene disinnescato il perfezionismo tipico di questi disturbi.

 

bottom of page